Noi,
che capiamo meglio
la morte che la vita,
che riconosciamo, nella nostra ignoranza,
il susseguirsi delle stagioni,
dal gelo dell’inverno
al torrido sole estivo:
L’aridità della nostra voce che viene rimandata,
come una eco dal pozzo senza fondo
e senza ombra di fertile acqua,
nel presente continuo:
L’opprimente vista della continuità di tutto,
come luce riflessa in una stanza di specchi:
La rinascita della fenice dalle sue stesse ceneri:
Tutto questo è per noi
solo angoscia e disperazione.
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