Cingoli

La macchina da guerra se ne va.
I cingoli stridenti graffiano l’asfalto.
Ed il segno che lascia dietro di se,
duplice lisca di pesce,
ostenta angosce ancestrali,
paure che oggi, su questa pianura ostile,
non è riuscita a portare.

La macchina da guerra se ne va.
I bui presagi: lontani ormai sono!
Un bimbo che piange impaurito e gelante,
al collo stretto della fin troppo magra madre.
L’abbraccio che dà, il profluvio che scende,
da monimento a chi è già pronto a sparare,
ma l’uomo è sorpreso, turbato, titubante!

La macchina da guerra se ne va,
oggi non imporrà qualcosa ad altro uomo!
Sempre un solito, nuovo, vecchio regime;
le madri dei Generali son sempre là pronte.
Ma la pazzia oggi è qui sconfitta: dall’Amore!
Amore vero, di quello puro. Ed è inquietante
che rinvenirlo sia, per le genti, così pesante.

La macchina da guerra se ne va,
ormai e andata, il suono è lontano.
Spronata da Lacrime e Amore,
da un bimbo e da una giovane madre,
e da quell’eroico atto che nella gente,
nella loro mente, da allora permane:
di quel soldato che, per Amore, non poté sparare.


Questa poesia la scrissi nel 1993 o `94 durante la guerra Bosnia-Erzegovina. In un villaggio una donna con in braccio un piccolo bambino era riuscita ad impietosire un ufficiale su un carro armato e questi aveva disertato risparmiando il villaggio.


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